sabato 21 novembre 2020

Gestione del reintegro al lavoro dei casi positivi al Sars Cov 2 a lungo termine....Dubbi....Soluzioni?

Rispetto ai mesi primaverili, nel periodo attuale,  al fine di contenere la trasmissione del Sars Cov 2,  sono state intraprese molte misure precauzionali in comune tranne quella della chiusura delle attività produttive. Tale condizione favorita da una normativa non aggiornata e  in contrasto con le evidenze scientifiche,  da un sistema sanitario carente dal punto di vista dell’organico   e con elevata pressione,  ha determinato  il problema del reintegro dei lavoratori positivi e senza sintomi dopo 21 giorni.

Il reintegro progressivo dei  lavoratori in azienda , dopo l'infezione da COVID19, è disciplinato dal DPCM attraverso il punto 12 del protocollo condiviso di regolamentazione  del 24 Aprile 2020,    e deve avvenire rigorosamente dopo la certificazione di avvenuta negativizzazione  del tampone .

La successiva  Circolare del Ministero della Salute del 12 Ottobre 2020,  in merito ai casi positivi a lungo termine, stabilisce “che le persone che, pur non presentando più sintomi, continuano a risultare positive al test molecolare per SARS-CoV-2, in caso di assenza di sintomatologia (fatta eccezione per ageusia/disgeusia e anosmia ) da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi.

Questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie d’intesa con esperti clinici e microbiologi/virologi, tenendo conto dello stato immunitario delle persone interessate (nei pazienti immunodepressi il periodo di contagiosità può essere prolungato).”

Da discussioni con gli addetti ai lavori, per vari motivi ( non generalizzo)   ho l’impressione che  indipendentemente dalla conoscenza dello stato immunitario, al cittadino positivo senza sintomi da una settimana ,  dopo 21 giorni  ,  in non pochi casi  "automaticamente" viene  interrotto il periodo di isolamento.

Se è vero quanto sopra riportato e se  il cittadino  è anche lavoratore il  medico competente si trova nella condizione di dover a.)  decidere se  applicare  il  DPCM o  la circolare del Ministero della Salute ( Da un lato è necessario un tampone negativo, dall'altro lato no),  b. )  e se il lavoratore può ancora trasmettere il virus a causa di immunodeficienze non valutate.

Per la condizione b, le maggiori preoccupazioni  sono indirizzate ai lavoratori che svolgono attività in contato con soggetti immunocompromessi a causa di :

·         AIDS, linfoma, leucemia, chemioterapia, trattamenti anti-TNF, ecc.);

·          soggetti con precedenti di trapianto, bypass digiuno-ileale, ilo-ileale, gastrectomizzati;

·         soggetti affetti da insufficienza renale cronica o emodializzati;

·         soggetti affetti da diabete insulino-dipendente o silicosi.

·         ecc  

Ora se il DPCM è un “dispositivo di legge” superiore alla Circolare del Ministero della salute, non è  possibile reintegrare il lavoratore in azienda, infatti è necessario l’acquisizione di un certificato di negativizzazione del TNF tra l’altro rilasciato dal Dipartimento di Prevenzione.  Per risolvere il dubbio sarebbe necessario una modifica del protocollo di regolamentazione o comunque un parere della giurisprudenza.

In assenza di una soluzione normativa, ritenuta la “pressione” per il reintegro in azienda del lavoratore,  esercitata sui medici competenti sia dai  datori di lavoro che dai lavoratori,  il medico competente viene a trovarsi nella condizione di “1. non rispettare” il DPCM 2. tutelare la salute di terzi   3.  “proteggersi” per gli  eventuali successivi risarcimenti di danni biologici.

Se viene soddisfatto il secondo punto del paragrafo precedente, non dovrebbero esserci ripercussioni ne sul primo ne sul terzo punto.

Una soluzione per tutelare la salute dei terzi potrebbe   essere quella della richiesta del certificato anamnestico al Medico di Medicina Generale, ponderando l’informativa sullo stato immunitario del lavoratore.

In assenza di una condizione di immunodepressione,  contro il DPCM il lavoratore positivo oltre i 21 giorni con assenza di sintomatologia di una settimana "potrebbe "essere “reintegrato” in azienda con la prescrizione   di misure preventive e protettive supplementari rispetto a quelle già attuate.

Nei casi “borderline” o comunque nei casi di  sospetta  immunodepressione  il medico competente potrebbe chiedere una consulenza specialistica.

Anche per tale aspetto la normativa attuale non aiuta, infatti il DPCM  stabilisce, si  una visita di reintegro ,ma non fa alcun   cenno ad accertamenti supplementari  e ne ancora la visita all’art. 41 del D.Lgs 81/08. 

Pertanto  si pone il dubbio di chi paga il costo della consulenza.

 Se il Datore di lavoro è d’accordo a saldare la consulenza specialistica il problema è risolto, altrimenti  la soluzione potrebbe essere quella di informare il lavoratore sulla necessità di  chiedere la  visita medica per sopraggiunti motivi di salute ai sensi dell’art. 41, comma 1  lettera b.

Se viene attivata tale procedura il costo è a carico del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 39, comma 5 del D.Lgs 81/08.

Quando riportato è solo una riflessione, uno spunto su cui basare una discussione e stimolare altre soluzioni

 


giovedì 19 novembre 2020

Rientro al Lavoro del cittadino contagiato ( Cristiano Mirisola- Gennaro Bilancio)

 


Il rientro al lavoro del cittadino contagiato

Gennaro Bilancio, Cristiano Mirisola - Medici del lavoro *

 

In seguito al contagio di un cittadino-lavoratore la legislazione emergenziale, compresi i vari DPCM succedutesi e che hanno sempre confermato la validità del cosiddetto Protocollo condiviso, configura due diverse situazioni: 1. la riammissione in comunità e 2. il reintegro al lavoro.

La riammissione in comunità prevede che prima siano soddisfatti i criteri dettati dalla Circolare del Ministero della Salute n. 32850 del 12/10/2020 (Indicazioni per la durata ed il termine dell’isolamento e della quarantena) e quindi che il cittadino sia autorizzato dall’Autorità ad interrompere l’isolamento o la quarantena. A seconda dell’organizzazione adottata dalle singole Regioni, tale provvedimento di autorizzazione è rilasciato: I) dal Dipartimento di Prevenzione (DdP) o Servizio di Igiene e Sanità Pubblica (SISP) della ASL competente per territorio, e/o II) dal Medico di medicina generale (MMG) / Pediatra di libera scelta (PLS).

Il reintegro al lavoro necessita, invece, innanzitutto che il lavoratore presenti al datore di lavoro la certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone (anche qui secondo le varie modalità localmente disposte dal DdP di pertinenza). Dopo questo primo passo il lavoratore andrebbe anche sottoposto ad una “Visita di reintegro” da parte del medico competente. Come noto, esiste in tema una differenza tra due diversi atti normativi, tra l’altro di rango diverso. Secondo i DPCM tale Visita dovrebbe essere effettuata per tutti i lavoratori contagiati; la Circolare del Ministero della Salute n. 14915 del 29/04/2020 (Indicazioni operative relative alle attività del medico competente), invece, prevede che vada effettuata solo per i soggetti che siano stati ricoverati.

 

Non è superfluo forse ricordare sia la particolarissima circostanza -  nella notte precedente al 24 aprile - in cui il Protocollo condiviso è stato stilato, sia il suo recepimento d’urgenza all’interno del DPCM del 26 aprile. È del tutto evidente che la citata Circolare del Ministero della Sanità del 29 aprile - documento emanato con incontestabili finalità esplicative - interveniva nel tentativo di mitigare le notevoli difficoltà operative generate dalle incertezze formali e dalle imprecisioni terminologiche contenute nel Protocollo condiviso. (Ci si auspica che quanto prima il Protocollo condiviso venga riformulato ed attualizzato). Questa Circolare, nel ribadire che la Visita di reintegro è finalizzata a valutare profili specifici di rischiosità ai fini del reinserimento lavorativo, faceva anche un non casuale ed esplicito cenno a situazioni di conclamata e particolare complessità clinica (ridotta capacità polmonare causata dalla malattia, necessità di sottoporsi a cicli di fisioterapia respiratoria, soggetti ricoverati in terapia intensiva).

A proposito di questa discrepanza, la stessa Società Italiana di Medicina del Lavoro (SIML) ha sostenuto che nei casi diversi dal ricovero la Visita di reintegro trova un razionale certo quando il lavoratore sia adibito ad una mansione i cui rischi lavorativi specifici - a giudizio del medico competente - possano ulteriormente danneggiare organi o apparati colpiti dalla patologia Covid-19. Tale argomento pare oggi ancora più valido se si tiene conto del numero crescente di soggetti che necessiterebbero di ricovero in ambito ospedaliero e che, in ragione dell’ascesa della curva epidemiologica e della saturazione degli ospedali, sono invece assistiti presso il domicilio.

Anche volendo tralasciare  il dato - evidente ed oggettivo - dell’enorme sovraccarico lavorativo a cui i medici competenti pure sono sottoposti a causa del coinvolgimento negli inediti compiti di consulenza per le problematiche Covid-correlate, sono comunque numerose le ulteriori considerazioni a sostegno della modalità operativa appena vista.

È ovvio innanzitutto che ove il lavoratore presenti sequele inabilitanti in particolare di tipo astenico, non sarà comunque in grado di riprendere l’attività lavorativa, dovendo ricorrere alla malattia ordinaria. Nelle restanti situazioni, invece, la raccolta delle informazioni e della eventuale documentazione sanitaria - nella assoluta stragrande maggioranza dei casi - metterà in condizione il medico competente di esprimere un Giudizio di idoneità provvisorio in merito alla necessità temporanea di prescrivere misure di adattamento o di controindicare attività o fasi della mansione specifica. Come ovvio, tale Giudizio dovrà essere perfezionato, alla prima occasione possibile anche in relazione all’evolvere dello scenario epidemiologico, dalla Visita in presenza.

A questo proposito, è noto che i fattori di rischio specifici per poter causare un danno alla salute del lavoratore devono svolgere - per definizione - una azione prolungata nel tempo. A mente di ciò l’espressione “precedentemente alla ripresa del lavoro” per questa fattispecie di Visita potrebbe ragionevolmente non essere interpretata in maniera meramente letterale.

Ancora - è forse anche inutile menzionarlo - la stessa citata Circolare del Ministero della Salute del 29 aprile ammetteva che possono essere procrastinate le visite mediche non “urgenti”; la necessità di questa cautela è stata recentemente ribadita in relazione all’attuale fase pandemica dalla Circolare Interministeriale n. 28877 del 04/09/2020 (Aggiornamenti e chiarimenti).

Aiuterà anche la previsione che durante il prossimo anno il lavoro dei medici competenti sarà da riprogrammare con una calendarizzazione che dovrà tener conto del differimento delle attività sanitarie non urgenti e che vedrà spesso, in pratica, coincidere la scadenza delle visite periodiche con le altre attività imposte dall’emergenza.

Il medico competente, infine, deve svolgere la sua opera secondo i principi della medicina del lavoro e del Codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale (ICOH). Tra questi un ruolo centrale svolge la necessità di tenere conto dell’appropriatezza, della predittività e del costo economico e sociale degli accertamenti sanitari che egli dispone.

In sintesi, visite prive di una certa necessità clinico-preventiva non solo non sono urgenti ma, se effettuate in maniera sistematica, possono ingiustificatamente contribuire alla diffusione del Sars-CoV2. Ci pare perciò, di poter affermare che una interpretazione rigidamente letterale della norma tradirebbe spirito e finalità che palesemente ne aveva motivato l’adozione, ovvero la tutela sostanziale delle condizioni di salute dei lavoratori.

 

Si formula di seguito una proposta di flusso lavorativo, nella consapevolezza sia delle grandi difficoltà dei medici competenti che stanno continuando nel loro gravosissimo tentativo di illustrare ai datori ed ai lavoratori, con semplicità e costanza, una materia in tumultuosa evoluzione sia tecnico-scientifica che normativa, sia di quelle dei soggetti preposti alle attività di controllo.

Il datore di lavoro deve essere messo in grado di adottare tutte le misure necessarie per a tutela del lavoratore contagiato. Affinché ciò sia possibile il lavoratore dovrà comunicare al medico competente qualunque variazione del proprio stato di salute (ma in particolare gli episodi di polmonite o le infezioni respiratorie gravi). Il medico competente tratterà le informazioni e la eventuale documentazione sanitaria correlata nel rispetto della normativa per la tutela dei dati personali e tenendo in particolare considerazione la tipologia di rischi specifici a cui il lavoratore è esposto. Valuterà quindi con il lavoratore se sussiste la necessità della Visita di reintegro, ed ove sussista, che questi faccia richiesta di visita straordinaria ai sensi dell’art. 41 comma 2 lett. c del D. Lgs. 81.

È comunque ancora possibile che il lavoratore non faccia tale richiesta. In tal caso la Visita di reintegro deve essere effettuata comunque ed il medico competente dovrà renderne edotto il datore di lavoro. La richiesta di Visita di reintegro, ai sensi del DPCM in vigore al momento, in questo caso sarà inoltrata dal datore di lavoro. A parere della SIML anche ad esito di tale Visita, che come noto va effettuata anche quando non siano trascorsi più di 60 giorni di assenza continuativi dal lavoro per motivi di salute, andrà formulato un Giudizio di idoneità.

Ipotesi di algoritmo operativo

1. Il datore di lavoro informa i lavoratori dell’obbligo di inviargli la certificazione di avvenuta negativizzazione come rilasciata secondo le disposizioni locali e di comunicare in via riservata al medico competente anche ogni altra variazione del loro stato di salute.

2. Il lavoratore contatta il medico competente il quale acquisisce l’eventuale documentazione sanitaria e valuta con il lavoratore stesso la necessità di sottoporlo o meno a Visita di reintegro.

3. Se la Visita è ritenuta necessaria:

- il lavoratore sottopone al datore di lavoro richiesta di visita straordinaria (art. 41 c. 2 lett. c);

- se il lavoratore non intende chiedere la vista straordinaria, il datore di lavoro sottopone al medico competente richiesta di Visita ai sensi del DPCM in vigore al momento.

5. In entrambi i due ultimi casi, nelle more della possibilità di effettuare la Visita in presenza, il medico competente esprimerà un Giudizio di idoneità provvisorio contenente le prescrizioni o limitazioni imposte dagli esiti di malattia Covid-19.

6. Anche in caso tale Visita non sia ritenuta necessaria, in considerazione delle informazioni e della documentazione ricevuta, il medico competente potrebbe comunque dover indicare al datore di lavoro misure aggiuntive di tutela.

In ogni caso, viste le diverse disposizioni territoriali, si ritiene utile verificare comunque - dove possibile - l’orientamento in merito a tale procedura dell’Organo di Vigilanza locale e, al fine di semplificare il comune lavoro, di allegare alla Cartella sanitaria e di rischio la documentazione acquisita e soprattutto di lasciare traccia al suo interno dei vari passaggi e delle motivazioni a loro sostegno.

Tale prassi non può che ritenersi assolutamente eccezionale ed utilizzabile nella sua irritualità esclusivamente in ragione del contesto emergenziale nel quale ci troviamo ad operare.

 

 

* Le opinioni qui espresse non impegnano in alcun modo le istituzioni o organizzazioni di appartenenza.

lunedì 29 giugno 2020

Pubblicato il Rapporto sugli effetti dei DPI delle vie respiratorie nel portale PAF


E’ stato pubblicato nel portale degli  agenti fisici, nella sezione documentazione, il rapporto 2/20 in merito alla prevenzione del disagio termico causato dai dispositivi di protezione delle vie respiratorie.
L’utilizzo dei DPI per le vie respiratorie rappresenta  uno strumento efficace  nel ridurre la diffusione del Sars Cov 2 e alla protezione da altri fattori nocivi all'apparato respiratorio , ma  a causa delle resistenze all’espirazione e all’inspirazione  aumenterebbe dal 20 al 30% il  lavoro necessario per far passare l’aria attraverso il filtro.  
L’effetto fisiologico successivo all’aumento delle resistenze respiratorie è  la  diminuzione della frequenza respiratoria e l' aumento  della  frequenza cardiaca.  
Altri effetti sulla salute che sono stati evidenziati durante l'utilizzo dei DPI delle vie respiratorie , soprattutto nei lavoratori "sensibili", sono quelli  allergici e di irritazione correlati al materiale di costruzione .
Il documento pubblicato sul portale  paf , evidenzia anche che   a causa dell’effetto barriera del facciale , aumenterebbe il vapore d’acqueo che sarebbe la causa dell’aumentata percezione di calore.
Naturalmente tale sensazione aumenta in condizioni microclimatiche avverse, come nel periodo estivo e durante attività lavorative che richiedono un aumento dell’attività  metabolica.
 Infatti con l’intensificarsi dell’attività fisica può accadere che la respirazione da nasale diventi oronasale modalità di respirazione che causa   una maggiore dispersione del calore verso l’ambiente rispetto alla respirazione nasale.
Infine il rapporto pubblicato sul portale PAF segnala anche che  il fattore psicologico può avere un impatto indiretto sul carico termico associato all’uso del dispositivo di protezione delle vie respiratorie.  Infatti in lavoratori che soffrono di ansia , l’uso del dispositivo può causare una sensazione di claustrofobia che sarebbe una causa dell’aumento della respirazione e quindi del vapore acqueo bloccato dal facciale.
L’aumento della sensazione di calore nella parte coperta del facciale rappresenterebbe uno dei  fattori di non accettabilità del dispositivo da parte del lavoratore e il conseguente mancato utilizzo o il non utilizzarlo in maniera corretta.
Per i motivi di cui ai precedenti punti è ' indispensabile che la scelta e  l'impiego dei DPI delle vie respiratorie dovrebbe avvenire solo a seguito di un'attenta valutazione dei rischi e successivamente alla predisposizione di azioni di prevenzione e protezione collettive. Inoltre nella scelta dei DPI respiratori accanto agli aspetti connessi alla valutazione del livello di protezione offerto è necessario
·         tener conto anche degli aspetti connessi alla valutazione dell’idoneità del dispositivo, tra cui i fattori ergonomici, termici.
·         sia sempre accompagnato da una idonea formazione volta al corretto impiego degli stessi ed a migliorarne l'accettabilità e l'adattabilità alle condizioni individuali di ciascun lavoratore
·         siano programmate di recupero e reidratazione durante il lavoro
Per l’approfondimento e la lettura completa del rapporto  collegarsi al seguente link
https://www.portaleagentifisici.it/filemanager/userfiles/microclima/PAF_02_2020_DPI_MICROCLIMA_29_06_201.pdf?lg=IT

mercoledì 24 giugno 2020

Attività del Medico Competente nel periodo Sars Cov 2

Riporto di seguito il link dove è possibile effettuare il downoad della presentazione sulla sorveglianza sanitaria del medico competente nel periodo sars cov _2   che ho presentato in durante un evento in modalità webinar. 
Premetto che sono espresse anche opinioni personali in merito alle visite mediche al rientro di un lavoratore ex covid positivo e per la sorveglianza sanitaria eccezionale che possono essere in contrasto con altre opinioni espresse da altri colleghi.
Inoltre sono riportati aggiornamenti rispetto a quanto già ho scritto in precedenti articoli

giovedì 14 maggio 2020

Sorveglianza Sanitaria Eccezionale Aggiornamento





Quali sono le finalità della sorveglianza sanitaria eccezionale?

Dalla lettura dell’ articolo 83 del Decreto Legge  19 Maggio , desumo che l’obiettivo è tutelare  i  lavoratori con particolari” fragilità” dal Sars Cov2 , infatti al comma 1 del medesimo articolo viene  “stabilito” che: “per garantire lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive e commerciali in relazione al rischio di contagio da virus SARS-CoV-2, fino alla data di cessazione dello stato di emergenza per rischio sanitario sul territorio nazionale, i datori di lavoro pubblici e privati assicurano la sorveglianza sanitaria eccezionale dei lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, anche da patologia COVID-19, o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità.

Quali sono le modalità di tutela dei lavoratori con particolare fragilità?

Dobbiamo distinguere due tipologia di lavoratori "fragili" 
Il primo gruppo sono  i Lavoratori in possesso: 
  •   del riconoscimento di disabilita' con connotazione di  gravita' ai sensi dell'articolo 3, comma     3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, 
  •  in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti di patologie oncologiche   o   dallo svolgimento di relative terapie salvavita 
che grazie alle certificazioni delle autorità sanitarie competenti non possono recarsi al lavoro, fino 28 Febbraio  2021 ( legge Bilancio 30 Dicembre 2020).  

Il secondo gruppo è rappresentato dai lavoratori che pur non usufruendo delle certificazioni di cui al punto precedente, a causa delle patologie  cui soffrono  devono essere considerati "fragili". Per tali lavoratori deve essere formulato un giudizio di idoneità.

Sul concetto di fragilità è opportuno riportare quanto indicato dalla  circolare del Ministero della salute  n. 13 del 04/09/2020 , che  tenuto conto dei dati epidemiologici dell'Istituto Superiore di Sanità, nonchè quelli derivanti dall'analisi sulle cartelle sanitarie dei pazienti deceduti e dei dati della letteratura scientifica prevalente , considera  lavoratori fragili,  quelli portatori di condizioni dello stato di salute che potrebbero determinare in caso di infezione, un esito più grave o infausto. 

Tali condizioni sono state indicate in patologie di scarso compenso clinico  dell'apparato cardiovascolare respiratorio, renale e di malattie dismetaboliche. 
 In aggiunta  a tali condizioni, devono essere considerati fragili lavoratori affetti da  alterazioni  del sistema immunitario.

Per la gestione dei lavoratori  fragili  è opportuno tenere conto dei seguenti  2 scenari:
  1.  lavoratori che sono sottoposti a  sorveglianza sanitaria.E' necessario informare  i lavoratori che se sono portatori di patologie che li rendono suscettibili di complicanza gravi da Sars Cov 2,  essi devono chiedere  la visita medica  o eccezionale  ai sensi dell'art. 83 del D.L n. 19 Maggio 2020 oppure la visita a richiesta  come da art. 41, comma 2, letetra c  del D.Lgs 81/08. 
  2. Aziende in cui non vige l'obbligo di nomina del medico competente. In questi casi  il  comma 2 , dell'art. 83, del D.L n. 34 del 19 Maggio  stabilisce  che il datore di lavoro, fermo restando la possibilità di nominare il medico competente, la sorveglianza sanitaria eccezionale può essere richiesta ai servizi Territoriali dell’INAIL.  




martedì 5 maggio 2020

Cosa rispondere al Datore di lavoro che chiede di effettuare i test rapidi per Sars Cov_2

Il mercato dei test rapidi per la rilevazione delle immunoglobuline contro il Sars Cov_2 è nella fase “esplosiva”, per cui i datori di lavoro, “bombardati” da offerte commerciali, spesso al ribasso, contattano i medici competenti per l’effettuazione di tali test. 
Prima dell’acquisto dei test è necessario chiedersi:
Che cosa sono i test Rapidi?
I test rapidi sono test qualitativi finalizzati a individuare le IgM e IgG prodotte dall’organismo contro alcune proteine del virus. Vengono effettuati grazie a una goccia di sangue (o di siero ottenuto da un prelievo ematico) che fatta scorrere su una piccola lastra contenente proteine virali causa la comparsa di linee colorate nella cassetta di rilevazione.
I risultati possibili al test sono i seguenti:

NEGATIVO: una linea colorata appare nella zona della linea di controllo (C). Nessuna linea appare nell'area IgG e nell'area IgM.
IgG POSITIVO:  compaiono due linee colorate. Una linea colorata dovrebbe sempre apparire nell'area della linea di controllo (C) e un'altra linea dovrebbe trovarsi nell'area della linea IgG.

IgM POSITIVO vengono visualizzate due linee colorate. Una linea colorata dovrebbe sempre apparire nell'area della linea di controllo (C) e un'altra linea dovrebbe trovarsi nell'area della linea IgM.

IgG e IgM POSITIVO vengono visualizzate tre linee colorate. Una linea colorata deve sempre apparire nell'area della linea di controllo (C) e due linee di test devono trovarsi nell'area della linea IgG e nell'area della linea IgM.
La Comunità Scientifica come si è espressa sui Test Rapidi?
In merito all’attendibilità dei test, si riportano le indicazioni della Circolare del Ministero della Salute e del Comitato scientifico della SIML.
La circolare del Ministero della Salute del 03/04/2020, n. 11715 ha specificato che tali test, secondo il parere espresso dal Comitato Tecnico Scientifico della Protezione Civile, non possono, allo stato attuale dell’evoluzione tecnologica, sostituire il test molecolare basato sull’identificazione di RNA virale dai tamponi nasofaringei secondo i protocolli indicati dall’OMS.
Il risultato qualitativo ottenuto su un singolo campione di siero non è sufficientemente attendibile per una valutazione diagnostica, in quanto la rilevazione della presenza degli anticorpi mediante l’utilizzo dei test rapidi non è comunque indicativo di un'infezione acuta in atto e, quindi, della presenza di virus nel paziente e soprattutto della possibilità di un eventuale rischio associato a una sua diffusione nella comunità.
Inoltre:
·         per ragioni di possibile cross-reattività con altri patogeni affini come altri coronavirus umani, il rilevamento degli anticorpi potrebbe non essere specifico della infezione da SARS-CoV2.
·         l’assenza di rilevamento di anticorpi (non ancora presenti nel sangue di un individuo per il ritardo che fisiologicamente connota una risposta umorale rispetto all’infezione virale) non esclude la possibilità di un’infezione in atto in fase precoce o asintomatica e relativo rischio di contagiosità dell’individuo
 Il comitato scientifico della Società Italiana di Medicina del lavoro ha specificato che i test  sierologici rapidi per SARS-CoV-2 presentano sensibilità e specificità inferiore ai test sierologici indaganti la risposta umorale con tecnica ELISA. Pertanto, sulla base delle evidenze a oggi disponibili e in base al principio di appropriatezza, tali test non sono indicati per finalità diagnostiche e prognostiche ed epidemiologiche nell'attuale contesto emergenziale COVID-19.
Si segnala, inoltre, che un altro problema dei test qualitativi è la soggettività nel rilievo della positività, nel senso che la lettura delle bande per le IgG o le IgM è influenzata dall’esaminatore in quanto, spesso, tali bande sono di lieve entità e di difficile interpretazione.
Quali potrebbero essere le conseguenze del ricorso  ai test rapidi?
1.        Effettuare tali test per una vasta popolazione di lavoratori asintomatici e senza storia di contatti con persone covid positivi, determinerebbe risultati negativi nella maggior parte dei soggetti testati  o perché potrebbero non aver ancora contratto l’infezione Sars Cov_2  o perché potrebbero trovarsi nel cosiddetto periodo finestra della produzione di anticorpi. In quest’ultimo caso i lavoratori potrebbero già essere contagiosi e quindi trasmettere il virus. Tale condizione ci porrebbe da un lato nella stessa condizione  del non effettuare il tampone, dall’altro, tenendo conto del periodo finestra, nel doverli ripetere
2.       Se una parte dei lavoratori dovesse risultare positiva, la scarsa attendibilità dei test rapidi e le indicazioni della comunità scientifica imporrebbero che i lavoratori debbano, comunque, essere sottoposti al  tampone nasofaringeo. L’attivazione della procedura per  l’effettuazione del tampone, secondo la normativa vigente, può avvenire solo attraverso un percorso protetto e ben delineato in una Struttura Pubblica. In assenza di tale procedura l a sola conoscenza della positività alle immunoglobuline porrebbe dubbi sul prosieguo dell’attività lavorativa del lavoratore e sulla necessità di individuare eventuali successivi contatti.
Il medico competente è impossibilitato ad esprimere il giudizio di idoneità alla mansione perché consapevole delle “limitazioni” dei test rapidi, non ha modificato il protocollo di sorveglianza sanitaria con l’indicazione della visita medica ai sensi dell’articolo 41 del Decreto Leg. 81/08

domenica 3 maggio 2020

Coronavirus Stratificazione del rischio fragilità. Prime indicazioni


03.05.2020
Per una stratificazione del rischio di fragilità. Prime indicazioni.
Gennaro Bilancio, Cristiano Mirisola - Medici del lavoro
                                                                           
Questo documento di lavoro va considerato una base di riflessione per sviluppare un approccio strutturato alla delicata questione dei lavoratori “fragili”. Esso nasce dal confronto tra due medici del lavoro, le cui opinioni qui espresse non impegnano in alcun modo le istituzioni o organizzazioni di appartenenza, che operano nei differenti ambiti del Dipartimento di Prevenzione e del territorio. La nostra convinzione, condivisa da tantissimi altri colleghi, è che la medicina del lavoro sia una sola, che possono essere certo differenti gli ambiti in cui la si esercita, ma che proprio i vincoli che ogni contesto pone, devono essere lo stimolo affinché si sviluppi lo scambio più ampio possibile di informazioni e di buone prassi.
Il documento verrà rivisto in base alle acquisizioni scientifiche e cliniche che ancora emergeranno. Chiediamo a chiunque voglia contribuire a svilupparlo di segnalare alla mail info@asmeco.it, eventuali errori di impostazione, ulteriori elementi utili a meglio stratificare il rischio o aspetti di dettaglio che fossero da integrare.
Data la incessante modificazione del quadro normativo preferiamo al momento non addentrarci nella disamina delle problematiche poste dall’ultima circolare del Ministero della Salute del 29/04/2020 sulle attività del Medico Competente nel contesto emergenziale Covid-19. È ovvio che le considerazioni qui contenute potranno essere utili anche alla formulazione di un giudizio di idoneità per le visite ai sensi dell’art. 41 del D. Lgs. 81/08 s.m.i. Va anche ribadito che i medici competenti svolgono la loro attività coniugando le evidenze scientifiche disponibili con il quadro normativo esistente. In questo caso l’elenco (che non si può pretendere possa mai considerarsi esaustivo) delle condizioni che possono far rientrare un soggetto nella condizione di fragilità, deriva dai Report dell’Istituto Superiore di Sanità che contengono le caratteristiche individuali e di salute riscontrate nei soggetti deceduti durante dell’infezione da Sars-CoV-2. Riguardo la definizione del termine “fragili” riportiamo in calce una nota ripresa da altro documento.
In nessun modo vogliamo suggerire una applicazione acritica delle informazioni contenute in questo documento, né che si possano individuare soglie numeriche in funzione delle quali una persona possa essere considerata o meno fragile. Non solo ogni situazione ed ogni lavoratore vanno considerati nella loro singolarità e complessità, ma soprattutto rimarrà sempre centrale ed insostituibile in queste valutazioni, la competenza clinico-diagnostica del medico e la sua libertà di maturare un intimo convincimento in scienza e coscienza. Esprimiamo anche dei dubbi in merito all’ipotesi che si possa, tramite questionari autosomministrati, valutare la condizione di salute dei lavoratori.
Il numero potenzialmente molto elevato di soggetti fragili e la incerta collocazione durante il periodo di astensione cautelativa impone una attenta stratificazione della loro condizione. Questo al fine di evitare sia un non giustificabile eccesso di cautela, sia un ancor meno accettabile rischio di escludere persone per le quali invece essa fosse stata necessaria.
Per la maggior parte dei lavoratori tale valutazione non presenta particolari difficoltà, una volta verificate l’assenza di specifiche patologie d’organo, di condizioni oncologiche o di meiopragia immunitaria.
Qualche dubbio può ancora persistere, ferma restando la necessità di evitare ogni forma di inopportuna sovratutela, nel soggetto che abbia oltre ad una età maggiore di 55 anni almeno due delle seguenti condizioni (che definiremo provvisoriamente “fattori accessori”): sesso maschile, forte e/o inveterato fumatore, obeso, iperteso ancorché compensato.
A proposito dell’età si riporta per comodità una sintesi del contenuto del Report dell’Istituto Superiore di Sanità del 29 aprile, sulle caratteristiche dei pazienti deceduti e positivi. Ne risulta che la loro età media è di 79 anni e che l’età mediana è più alta di oltre 15 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno solo contratto l’infezione. Le donne in generale sono il 38,0%, mentre quelle decedute dopo  aver contratto infezione hanno in media 5 anni in più rispetto agli uomini. La figura sotto mostra in maniera evidente l’importante aumento di mortalità nel passaggio oltre i 60 anni.

La presenza di problematiche connesse ad una patologia oncologica in terapia o ad deficit immunitario franco, invece, lasciano pochi margini al medico competente e potrebbero comportare l’impossibilità di adibire la persona a qualsiasi mansione anche quando fosse possibile ottenerne il completo isolamento pure durante il tragitto casa-lavoro. Una situazione simile pare comunque prospettarsi anche quando nel soggetto siano presenti più di una patologia. Come si evince dai dati estratti sempre dal Report ISS citato, infatti, solo il 3,8% dei deceduti non presentavano patologie ed il 14,5% ne presentavano una. Il 21,4%, invece, ne presentavano due ed addirittura il 60,3% ne presentavano tre o più.
Più complessa appare la valutazione, invece, di quelle patologie la cui semplice presenza, senza nessuna altra informazione in merito a compenso e gravità, non permetterebbe di arrivare ad una conclusione riguardo l’inclusione della persona nella categoria dei fragili. In qualche considerazione, innanzitutto, potrà essere tenuto il dato che vede l’insufficienza respiratoria come la complicanza più comunemente osservata (97,1%), seguita dal danno renale acuto (23,3%), dalla sovrainfezione batterica (12,6%) ed infine dal danno miocardico acuto (10,9%). Nella figura sotto si vede quali sono le patologie preesistenti più frequentemente osservate nei pazienti deceduti e positivi.
Al solo scopo di rendere più agevole la loro stratificazione se ne riportano di seguito i più comuni criteri di inquadramento ed alcune liste di controllo. Il livello di dettaglio ed il numero di items risulterà nella stragrande maggioranza dei casi eccessivo; lo strumento è però pensato come un ausilio al lavoro che permetta di poter arrivare agevolmente al livello di approfondimento necessario in quei rari casi che lo richiedano.

Terminato questo percorso potrebbero ancora essere presenti dei margini di incertezza e potranno divenire allora dirimenti la considerazione dei fattori di rischio specifici e delle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa. Si pensi, ad esempio, alla situazione in cui un soggetto di età superiore ai 55 anni affetto da una condizione di immunodepressione lieve o incerta, presenti anche due dei “fattori accessori” ed operi in condizioni di rischio medio secondo la metodologia Osha. O ancora ad un portatore di una broncopatia in fase iniziale ma forte fumatore, che svolga l’attività in condizioni di rischio basso secondo Osha ma sia al contempo un saldatore o un verniciatore. Rifuggendo da ogni schematismo, appare chiaro che in tali situazioni potrebbe essere giustificato assumere la cautela più ampia per questi soggetti.
Per effettuare il download degli strumenti di valutazione collegarsi al link di seguito

giovedì 30 aprile 2020

Coronavirus, Oltre le visite mediche come da art. 41, devono essere effettuate ulteriori visite?

Il DPCM  26/04/2020, al punto 12 si occupa della sorveglianza sanitaria e nell’elencazione delle attività del medico competente cita i seguenti due punti che hanno determinato varie interpretazioni:
·         è opportuno che sia coinvolto il medico competente per le identificazioni dei soggetti con particolari fragilità e per il reinserimento lavorativo di soggetti con pregressa positività al Covid 19
·         per il rientro progressivo di lavoratori dopo l’infezione da COVID 19, il medico competente deve effettuare la visita medica al rientro, dopo assenza per motivi di salute superiori a 60 giorni al fine di valutare l’idoneità alla mansione. (D.Lgs. 81/08, art. 41, comma 2, lettera e-ter), ANCHE per valutare profili di rischio specifici di rischiosità e comunque indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia.
Il secondo periodo, del punto precedente lascia intendere che indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia, per i lavoratori guariti dal Sars Cov 2, devono essere effettuate le visite mediche, non per la formulazione del giudizio di idoneità, ma per “valutare il profilo di rischio specifico”. Quindi anche al di sotto dei 60 giorni il medico competente, deve effettuare la visita medica.

In Campania le linee guida per i cantieri, al paragrafo dedicato alla sorveglianza sanitaria/ medica, specifica, già quanto indicato dal DPCM 26/04/2000, e ha inoltre previsto la visita medica da effettuare ad ogni dipendente prima della ripresa dell’attività, da ripetersi periodicamente, per accettare l’assenza di sintomatologia da Covid 19.

A questo punto è lecito pensare se il medico competente è obbligato ad effettuare le visite mediche

Per rispondere alla domanda dobbiamo tenere in considerazione che:

Ritenuto che L’art. 41 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che la sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente:
a) nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva
b) qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi
Considerato che Il DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio” non ha modificato l’articolo 41 del D.Lgs 81/08

Tranne nei casi dell’obbligo della visita medica per rientro al lavoro per motivi di salute oltre i 60 giorni, il medico competente non ha alcun obbligo di effettuare  la visita medica con formulazione di giudizi di idoneità, sia per il rientro al lavoro per la riapertura delle aziende, sia per i lavoratori covid positivi che  rientro al lavoro e sia per l’identificazione dei lavoratori “Fragili”.
In merito alle visite mediche dei lavoratori all’apertura delle aziende, dalle faq  della regione Campania si evince che deve essere attuata la seguente procedura,
il Lavoratore consegna al Datore di lavoro l’autocertificazione di cui all’allegato dell’Ordinanza Regionale, se  non emergono criticità così come dai punti specificarti nell’autocertificazione, il dipendente può riprendere l’attività lavorativa senza visita medica, di contro, se emergono una o più criticità , il datore di lavoro , comunica immediatamente al medico competente le criticità, il medico competente  ha l’obbligo di informare il lavoratore che deve contattare il medico di medicina generale per l’eventuale isolamento e l’avvio della procedura per l’effettuazione del tampone.
Quindi la domanda nasce spontanea, a cosa potrebbe essere utile la visita medica al rientro dei lavoratori covid positivi?
A parere dello scrivente, l’utilità potrebbe essere quella nell’individuazione dei lavoratori con esiti da covid che diventano “sensibili” ai rischi specifici della mansione.
Per tale condizione, il medico competente, può raccomandare  al lavoratore di richiedere la visita medica “straordinaria”, ai sensi dell’articolo 41, comma 2, lettera c, del D.lgs 81/08.

Per quanto sopra scritto, non è da intendere come un non interessamento del medico competente ai lavoratori fragili o dei lavoratori ex covid 19 positivi, ma che, la gestione dei lavoratori fragili o covid positivi  deve essere effettuato con modalità diverse dalla formulazione del giudizio di idoneità

Deve essere valutato il rischio biologico da Covid19 nelle aziende non sanitarie?


In seguito alla pandemia da Sars Cov 2, gli addetti ai lavori che tutelano la salute e la sicurezza dei lavoratori, hanno discusso e continuano a discutere   sull’ obbligatorietà negli ambienti di lavoro non sanitari, della  valutazione dei rischi e dell'aggiornamento della della stessa per il rischio biologico,  
Per poter rispondere al quesito, dobbiamo procedere per gradi, iniziando nel comprendere di cosa stiamo discutendo, cioè “che cosa è la valutazione dei rischi”.  Ai sensi dell’articolo 2, comma 1,
 lettera q del Dlgs.81/08 si definisce: Valutazione dei rischi: “la valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute   sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui
essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e protezione e ad elaborare  il programma delle misure atte a garantire il miglioramento  dei livelli di 
salute e sicurezza.”Dalla definizione si comprende che i rischi da valutare sono direttamente correlati alla tipologia dell’attività lavorativa, dal contesto ambientale, degli impianti, attrezzature e macchine utilizzate, manipolazione e/o esposizione agli agenti chimici, biologici, alla movimentazione manuale dei carichi, all’organizzazione del lavoro ecc. 
Da quanto precedentemente scritto, si comprende che negli ambienti di lavoro non sanitari, il Sars Cov_2 non è presente all’interno  della specifica attività lavorativa, ma è un rischio che proviene dall’esterno e si insinua nell’organizzazione del lavoro. A tal proposito si riporta che il protocollo condiviso di regolamentazione per  il contenimento della diffusione del Covid 19, specifica che esso  rappresenta un rischio biologico generico, e per il quale occorre adottare misure uguali per tutta la popolazione.
Di conseguenza, per quanto precedentemente scritto, non è applicabile neppure il titolo X del D.Lgs. 81/08, in quanto si configurerebbe per le  attività lavorative nelle quali vi è rischio di esposizione ad agenti biologici: o perché il datore di lavoro deliberatamente intende esercitare attività che comportano uso di agenti biologici (art. 269, comma 1), o perché, pur non volendo operare con agenti biologici, il Datore di lavoro  organizza le attività lavorative che, per la loro modalità di esercizio, possono implicare il rischio di esposizioni dei lavoratori a tali agenti (articolo 271, comma 4).

Quindi se il Covid19, negli ambienti di lavoro non sanitari, non fa parte del “ciclo produttivo” e la sua presenza negli ambienti di lavoro è indipendente dalla tipologia di organizzazione del lavoro, ne discende che non deve essere effettuata la valutazione dei rischi nè l’aggiornamento ai sensi dell’articolo 29, comma 2 del D.Lgs 81/08. 
Essendo il rischio da Sars Cov_2 un rischio generico, ne consegue che la tutela della salute pubblica spetta alle pubbliche autorità, che, individuate le opportune misure, le comunica alla popolazione, e di conseguenza anche  ai lavoratori e i datori di lavoro che di essa ne fanno parte.  
I datori di lavoro, sono obbligati a rispettare le indicazioni operative, anche ai sensi dall’art. 2087 c.c, perché la mancata attuazione di tali misure comporta sia la sospensione dell'attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza e sia sanzioni amministrative
 Il datore di lavoro, in quanto obbligato al rispetto delle “regole e indicazioni operative” stabilite dalle Autorità, perde l’autonomia decisionale e  valutativa  e non ha alternativa che dare attuazione a tali obblighi dettati dalle norme speciali che derogano  all’ordinario obbligo generale di valutazione dei rischi del decreto 81/08.
Da tale obbligo non sono esentanti anche i lavoratori che, opportunamente sensibilizzati, devono acquisire la consapevolezza del rischio e devono impegnarsi a rispettare le “disposizioni” del Datore di lavoro e delle Autorità.
Inoltre, pur tenendo in considerazione le misure “precauzionali” individuate dalla pubblica Autorità, possiamo sottolineare i punti in comune con il D.Lgs.81/08 quali l’informazione al corretto utilizzo dei DPI, la gestione della sorveglianza sanitaria, la riduzione del numero dei lavoratori esposti al rischio, l’allontanamento dei lavoratore per motivi sanitari.
Ne discende che nelle aziende non sanitarie, seppur il rischio da Covid 19   non debba essere valutato attraverso le modalità “usuali” tipiche dei rischi di origine occupazionale, il DL deve, comunque, garantire il rispetto delle misure individuate dalla Pubblica Autorità e, lì dove possibile, integrare tali misure con altre egualmente efficaci.
Consapevole che quanto riportato è un’opinione personale, e che alcuni “colleghi medici” e “tecnici” potrebbero avere un’opinione opposta, negli ambienti di lavoro non sanitari, nell’applicare le misure idonee ed efficaci al contenimento del Covid 19 e tutelanti la salute e sicurezza dei lavoratori, consiglierei di “formalizzare” le procedure e tutte le azioni intraprese o che saranno adottate