Il rientro al lavoro del cittadino contagiato
Gennaro
Bilancio, Cristiano Mirisola - Medici del lavoro *
In seguito al contagio di un cittadino-lavoratore la legislazione emergenziale,
compresi i vari DPCM succedutesi e che hanno sempre confermato la validità del cosiddetto
Protocollo condiviso, configura due diverse situazioni: 1. la riammissione in comunità
e 2. il reintegro al lavoro.
La riammissione in comunità prevede che prima siano soddisfatti i
criteri dettati dalla Circolare del Ministero della Salute n. 32850 del
12/10/2020 (Indicazioni per la durata ed il termine dell’isolamento e della
quarantena) e quindi che il cittadino sia autorizzato dall’Autorità ad interrompere
l’isolamento o la quarantena. A seconda dell’organizzazione adottata dalle singole Regioni, tale provvedimento
di autorizzazione è rilasciato: I) dal Dipartimento di Prevenzione (DdP) o
Servizio di Igiene e Sanità Pubblica (SISP) della ASL competente per territorio,
e/o II) dal Medico di medicina generale (MMG) / Pediatra di libera scelta (PLS).
Il reintegro al lavoro necessita, invece, innanzitutto che il
lavoratore presenti al datore di lavoro la certificazione di avvenuta
negativizzazione del tampone (anche qui secondo le varie modalità localmente
disposte dal DdP di pertinenza). Dopo questo primo passo il lavoratore andrebbe
anche sottoposto ad una “Visita di reintegro” da parte del medico competente. Come
noto, esiste in tema una differenza tra due diversi atti normativi, tra l’altro
di rango diverso. Secondo i DPCM tale Visita dovrebbe essere effettuata per tutti
i lavoratori contagiati; la Circolare del Ministero della Salute n. 14915 del
29/04/2020 (Indicazioni operative relative alle attività del medico competente),
invece, prevede che vada effettuata solo per i soggetti che siano stati ricoverati.
Non è superfluo forse
ricordare sia la particolarissima circostanza - nella notte precedente al 24 aprile - in cui il
Protocollo condiviso è stato stilato, sia il suo recepimento d’urgenza all’interno
del DPCM del 26 aprile. È del tutto evidente che la citata Circolare del
Ministero della Sanità del 29 aprile - documento emanato con incontestabili
finalità esplicative - interveniva nel tentativo di mitigare le notevoli
difficoltà operative generate dalle incertezze formali e dalle imprecisioni
terminologiche contenute nel Protocollo condiviso. (Ci si auspica che quanto
prima il Protocollo condiviso venga riformulato ed attualizzato). Questa
Circolare, nel ribadire che la Visita di reintegro è finalizzata a valutare profili
specifici di rischiosità ai fini del reinserimento lavorativo, faceva anche un
non casuale ed esplicito cenno a situazioni di conclamata e particolare complessità
clinica (ridotta capacità polmonare causata dalla malattia, necessità di
sottoporsi a cicli di fisioterapia respiratoria, soggetti ricoverati in terapia
intensiva).
A proposito di questa discrepanza, la stessa Società Italiana di Medicina
del Lavoro (SIML) ha sostenuto che nei casi diversi dal ricovero la Visita di
reintegro trova un razionale certo quando il lavoratore sia adibito ad una
mansione i cui rischi lavorativi specifici - a giudizio del medico competente -
possano ulteriormente danneggiare organi o apparati colpiti dalla patologia
Covid-19. Tale argomento pare oggi ancora più valido se si tiene conto del
numero crescente di soggetti che necessiterebbero di ricovero in ambito
ospedaliero e che, in ragione dell’ascesa della curva epidemiologica e della saturazione
degli ospedali, sono invece assistiti presso il domicilio.
Anche volendo tralasciare il dato
- evidente ed oggettivo - dell’enorme sovraccarico lavorativo a cui i medici
competenti pure sono sottoposti a causa del coinvolgimento negli inediti
compiti di consulenza per le problematiche Covid-correlate, sono comunque numerose
le ulteriori considerazioni a sostegno della modalità operativa appena vista.
È ovvio innanzitutto
che ove il lavoratore presenti sequele inabilitanti in particolare di tipo
astenico, non sarà comunque in grado di riprendere l’attività lavorativa, dovendo
ricorrere alla malattia ordinaria. Nelle restanti situazioni, invece, la
raccolta delle informazioni e della eventuale documentazione sanitaria - nella
assoluta stragrande maggioranza dei casi - metterà in condizione il medico
competente di esprimere un Giudizio di idoneità provvisorio in merito alla
necessità temporanea di prescrivere misure di adattamento o di controindicare attività
o fasi della mansione specifica. Come ovvio, tale Giudizio dovrà essere perfezionato,
alla prima occasione possibile anche in relazione all’evolvere dello scenario
epidemiologico, dalla Visita in presenza.
A questo proposito,
è noto che i fattori di rischio specifici per poter causare un danno alla salute
del lavoratore devono svolgere - per definizione - una azione prolungata nel
tempo. A mente di ciò l’espressione “precedentemente alla ripresa del lavoro” per
questa fattispecie di Visita potrebbe ragionevolmente non essere interpretata
in maniera meramente letterale.
Ancora - è forse
anche inutile menzionarlo - la
stessa citata Circolare del Ministero della Salute del 29 aprile ammetteva che possono
essere procrastinate le visite mediche non “urgenti”; la necessità di questa cautela
è stata recentemente ribadita in relazione all’attuale fase pandemica dalla Circolare
Interministeriale n. 28877 del 04/09/2020 (Aggiornamenti e chiarimenti).
Aiuterà anche la previsione che durante il prossimo anno il lavoro dei
medici competenti sarà da riprogrammare con una calendarizzazione che dovrà tener
conto del differimento delle attività sanitarie non urgenti e che vedrà spesso,
in pratica, coincidere la scadenza delle visite periodiche con le altre attività
imposte dall’emergenza.
Il medico competente, infine, deve
svolgere la sua opera secondo i principi della medicina del lavoro e del Codice etico della Commissione internazionale di
salute occupazionale (ICOH). Tra questi un ruolo centrale svolge la necessità
di tenere conto dell’appropriatezza, della predittività e del costo economico e
sociale degli accertamenti sanitari che egli dispone.
In sintesi, visite prive di una certa necessità clinico-preventiva non
solo non sono urgenti ma, se effettuate in maniera sistematica, possono ingiustificatamente
contribuire alla diffusione del Sars-CoV2. Ci pare perciò, di poter affermare che
una interpretazione rigidamente letterale della norma tradirebbe spirito e finalità
che palesemente ne aveva motivato l’adozione, ovvero la tutela sostanziale delle
condizioni di salute dei lavoratori.
Si formula di seguito una proposta di flusso lavorativo, nella consapevolezza
sia delle grandi difficoltà dei medici competenti che stanno continuando nel
loro gravosissimo tentativo di illustrare ai datori ed ai lavoratori, con semplicità
e costanza, una materia in tumultuosa evoluzione sia tecnico-scientifica che normativa,
sia di quelle dei soggetti preposti alle attività di controllo.
Il datore di lavoro deve essere messo in grado di adottare tutte le
misure necessarie per a tutela del lavoratore contagiato. Affinché ciò sia
possibile il lavoratore dovrà comunicare al medico competente qualunque
variazione del proprio stato di salute (ma in particolare gli episodi di polmonite
o le infezioni respiratorie gravi). Il medico competente tratterà le informazioni
e la eventuale documentazione sanitaria correlata nel rispetto della normativa per
la tutela dei dati personali e tenendo in particolare considerazione la
tipologia di rischi specifici a cui il lavoratore è esposto. Valuterà quindi con
il lavoratore se sussiste la necessità della Visita di reintegro, ed ove sussista,
che questi faccia richiesta di visita straordinaria ai sensi dell’art. 41 comma
2 lett. c del D. Lgs. 81.
È comunque ancora possibile che il lavoratore non faccia tale
richiesta. In tal caso la Visita di reintegro deve essere effettuata comunque
ed il medico competente dovrà renderne edotto il datore di lavoro. La richiesta
di Visita di reintegro, ai sensi del DPCM in vigore al momento, in questo caso
sarà inoltrata dal datore di lavoro. A parere della SIML anche ad esito di tale
Visita, che come noto va effettuata anche quando non siano trascorsi più di 60
giorni di assenza continuativi dal lavoro per motivi di salute, andrà formulato
un Giudizio di idoneità.
Ipotesi di algoritmo operativo
1. Il datore di lavoro informa i lavoratori
dell’obbligo di inviargli la certificazione di avvenuta negativizzazione come rilasciata
secondo le disposizioni locali e di comunicare in via riservata al medico
competente anche ogni altra variazione del loro stato di salute.
2. Il lavoratore contatta il medico
competente il quale acquisisce l’eventuale documentazione sanitaria e valuta con
il lavoratore stesso la necessità di sottoporlo o meno a Visita di reintegro.
3. Se la Visita è ritenuta necessaria:
- il lavoratore sottopone al datore di lavoro
richiesta di visita straordinaria (art. 41 c. 2 lett. c);
- se il lavoratore non intende chiedere la
vista straordinaria, il datore di lavoro sottopone al medico competente
richiesta di Visita ai sensi del DPCM in vigore al momento.
5. In entrambi i due ultimi casi, nelle
more della possibilità di effettuare la Visita in presenza, il medico competente
esprimerà un Giudizio di idoneità provvisorio contenente le prescrizioni o limitazioni
imposte dagli esiti di malattia Covid-19.
6. Anche in caso tale Visita non sia ritenuta
necessaria, in considerazione delle informazioni e della documentazione
ricevuta, il medico competente potrebbe comunque dover indicare al datore di lavoro
misure aggiuntive di tutela.
In ogni caso, viste le diverse disposizioni territoriali, si ritiene
utile verificare comunque - dove possibile - l’orientamento in merito a tale
procedura dell’Organo di Vigilanza locale e, al fine di semplificare il comune
lavoro, di allegare alla Cartella sanitaria e di rischio la documentazione
acquisita e soprattutto di lasciare traccia al suo interno dei vari passaggi e delle
motivazioni a loro sostegno.
Tale prassi non può che ritenersi assolutamente eccezionale ed
utilizzabile nella sua irritualità esclusivamente in ragione del contesto emergenziale
nel quale ci troviamo ad operare.
* Le opinioni qui espresse non
impegnano in alcun modo le istituzioni o organizzazioni di appartenenza.
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