sabato 21 novembre 2020

Gestione del reintegro al lavoro dei casi positivi al Sars Cov 2 a lungo termine....Dubbi....Soluzioni?

Rispetto ai mesi primaverili, nel periodo attuale,  al fine di contenere la trasmissione del Sars Cov 2,  sono state intraprese molte misure precauzionali in comune tranne quella della chiusura delle attività produttive. Tale condizione favorita da una normativa non aggiornata e  in contrasto con le evidenze scientifiche,  da un sistema sanitario carente dal punto di vista dell’organico   e con elevata pressione,  ha determinato  il problema del reintegro dei lavoratori positivi e senza sintomi dopo 21 giorni.

Il reintegro progressivo dei  lavoratori in azienda , dopo l'infezione da COVID19, è disciplinato dal DPCM attraverso il punto 12 del protocollo condiviso di regolamentazione  del 24 Aprile 2020,    e deve avvenire rigorosamente dopo la certificazione di avvenuta negativizzazione  del tampone .

La successiva  Circolare del Ministero della Salute del 12 Ottobre 2020,  in merito ai casi positivi a lungo termine, stabilisce “che le persone che, pur non presentando più sintomi, continuano a risultare positive al test molecolare per SARS-CoV-2, in caso di assenza di sintomatologia (fatta eccezione per ageusia/disgeusia e anosmia ) da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi.

Questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie d’intesa con esperti clinici e microbiologi/virologi, tenendo conto dello stato immunitario delle persone interessate (nei pazienti immunodepressi il periodo di contagiosità può essere prolungato).”

Da discussioni con gli addetti ai lavori, per vari motivi ( non generalizzo)   ho l’impressione che  indipendentemente dalla conoscenza dello stato immunitario, al cittadino positivo senza sintomi da una settimana ,  dopo 21 giorni  ,  in non pochi casi  "automaticamente" viene  interrotto il periodo di isolamento.

Se è vero quanto sopra riportato e se  il cittadino  è anche lavoratore il  medico competente si trova nella condizione di dover a.)  decidere se  applicare  il  DPCM o  la circolare del Ministero della Salute ( Da un lato è necessario un tampone negativo, dall'altro lato no),  b. )  e se il lavoratore può ancora trasmettere il virus a causa di immunodeficienze non valutate.

Per la condizione b, le maggiori preoccupazioni  sono indirizzate ai lavoratori che svolgono attività in contato con soggetti immunocompromessi a causa di :

·         AIDS, linfoma, leucemia, chemioterapia, trattamenti anti-TNF, ecc.);

·          soggetti con precedenti di trapianto, bypass digiuno-ileale, ilo-ileale, gastrectomizzati;

·         soggetti affetti da insufficienza renale cronica o emodializzati;

·         soggetti affetti da diabete insulino-dipendente o silicosi.

·         ecc  

Ora se il DPCM è un “dispositivo di legge” superiore alla Circolare del Ministero della salute, non è  possibile reintegrare il lavoratore in azienda, infatti è necessario l’acquisizione di un certificato di negativizzazione del TNF tra l’altro rilasciato dal Dipartimento di Prevenzione.  Per risolvere il dubbio sarebbe necessario una modifica del protocollo di regolamentazione o comunque un parere della giurisprudenza.

In assenza di una soluzione normativa, ritenuta la “pressione” per il reintegro in azienda del lavoratore,  esercitata sui medici competenti sia dai  datori di lavoro che dai lavoratori,  il medico competente viene a trovarsi nella condizione di “1. non rispettare” il DPCM 2. tutelare la salute di terzi   3.  “proteggersi” per gli  eventuali successivi risarcimenti di danni biologici.

Se viene soddisfatto il secondo punto del paragrafo precedente, non dovrebbero esserci ripercussioni ne sul primo ne sul terzo punto.

Una soluzione per tutelare la salute dei terzi potrebbe   essere quella della richiesta del certificato anamnestico al Medico di Medicina Generale, ponderando l’informativa sullo stato immunitario del lavoratore.

In assenza di una condizione di immunodepressione,  contro il DPCM il lavoratore positivo oltre i 21 giorni con assenza di sintomatologia di una settimana "potrebbe "essere “reintegrato” in azienda con la prescrizione   di misure preventive e protettive supplementari rispetto a quelle già attuate.

Nei casi “borderline” o comunque nei casi di  sospetta  immunodepressione  il medico competente potrebbe chiedere una consulenza specialistica.

Anche per tale aspetto la normativa attuale non aiuta, infatti il DPCM  stabilisce, si  una visita di reintegro ,ma non fa alcun   cenno ad accertamenti supplementari  e ne ancora la visita all’art. 41 del D.Lgs 81/08. 

Pertanto  si pone il dubbio di chi paga il costo della consulenza.

 Se il Datore di lavoro è d’accordo a saldare la consulenza specialistica il problema è risolto, altrimenti  la soluzione potrebbe essere quella di informare il lavoratore sulla necessità di  chiedere la  visita medica per sopraggiunti motivi di salute ai sensi dell’art. 41, comma 1  lettera b.

Se viene attivata tale procedura il costo è a carico del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 39, comma 5 del D.Lgs 81/08.

Quando riportato è solo una riflessione, uno spunto su cui basare una discussione e stimolare altre soluzioni

 


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