In seguito alla pandemia da Sars Cov 2, gli addetti ai
lavori che tutelano la salute e la sicurezza dei lavoratori, hanno discusso e
continuano a discutere sull’ obbligatorietà negli ambienti di lavoro
non sanitari, della valutazione dei rischi e dell'aggiornamento della della stessa per il rischio
biologico,
Per poter rispondere al quesito, dobbiamo procedere
per gradi, iniziando nel comprendere di cosa stiamo discutendo, cioè “che cosa
è la valutazione dei rischi”. Ai sensi dell’articolo 2, comma 1,
lettera q del Dlgs.81/08 si definisce:
Valutazione dei rischi: “la valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la
salute sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito
dell’organizzazione in cui
essi prestano la propria attività, finalizzata
ad individuare le adeguate misure di prevenzione e protezione e ad
elaborare il programma delle misure atte a garantire il
miglioramento dei livelli di
salute e sicurezza.”Dalla definizione si comprende che i rischi da valutare
sono direttamente correlati alla tipologia dell’attività lavorativa, dal
contesto ambientale, degli impianti, attrezzature e macchine utilizzate,
manipolazione e/o esposizione agli agenti chimici, biologici, alla
movimentazione manuale dei carichi, all’organizzazione del lavoro ecc.
Da quanto
precedentemente scritto, si comprende che negli ambienti di lavoro non
sanitari, il Sars Cov_2 non è presente
all’interno della specifica attività lavorativa, ma è un
rischio che proviene dall’esterno e si insinua nell’organizzazione del lavoro. A tal
proposito si riporta che il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del Covid 19,
specifica che esso rappresenta un rischio biologico generico, e per il quale occorre adottare misure uguali
per tutta la popolazione.
Di
conseguenza, per quanto precedentemente scritto, non è applicabile neppure il
titolo X del D.Lgs. 81/08, in quanto si
configurerebbe per le attività lavorative nelle quali vi è rischio di
esposizione ad agenti biologici: o perché il datore di lavoro deliberatamente
intende esercitare attività che comportano uso di agenti biologici (art. 269,
comma 1), o perché, pur non volendo operare con agenti biologici, il Datore di
lavoro organizza le attività lavorative che, per la loro modalità
di esercizio, possono implicare il rischio di esposizioni dei lavoratori a tali
agenti (articolo 271, comma 4).
Quindi se il Covid19, negli ambienti di lavoro non
sanitari, non fa parte del “ciclo produttivo” e la sua presenza negli ambienti
di lavoro è indipendente dalla tipologia di organizzazione del lavoro, ne
discende che non deve essere effettuata la valutazione dei rischi nè
l’aggiornamento ai sensi dell’articolo 29, comma 2 del D.Lgs 81/08.
Essendo il
rischio da Sars Cov_2 un rischio generico, ne consegue che la tutela della
salute pubblica spetta alle pubbliche autorità, che, individuate le
opportune misure, le comunica alla popolazione, e di conseguenza anche ai lavoratori e i datori di lavoro che di
essa ne fanno parte.
I datori
di lavoro, sono obbligati a rispettare le indicazioni operative, anche ai sensi
dall’art. 2087 c.c, perché la mancata attuazione di tali misure comporta sia
la sospensione dell'attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza e sia sanzioni amministrative
Il datore di lavoro, in quanto obbligato
al rispetto delle “regole e indicazioni operative” stabilite dalle Autorità, perde
l’autonomia decisionale e valutativa e non ha alternativa che dare
attuazione a tali obblighi dettati dalle norme speciali che derogano
all’ordinario obbligo generale di valutazione dei rischi del decreto 81/08.
Da
tale obbligo non sono esentanti anche i
lavoratori che, opportunamente sensibilizzati, devono acquisire la consapevolezza del rischio e devono impegnarsi
a rispettare le “disposizioni” del Datore di lavoro e delle Autorità.
Inoltre, pur tenendo
in considerazione le misure “precauzionali” individuate dalla pubblica
Autorità, possiamo sottolineare i
punti in comune con il D.Lgs.81/08 quali l’informazione al corretto
utilizzo dei DPI, la gestione della sorveglianza sanitaria, la riduzione del
numero dei lavoratori esposti al rischio, l’allontanamento dei lavoratore per
motivi sanitari.
Ne
discende che nelle aziende non sanitarie, seppur il rischio da Covid 19
non debba essere valutato attraverso le modalità “usuali” tipiche
dei rischi di origine occupazionale, il DL deve, comunque, garantire il
rispetto delle misure individuate dalla Pubblica Autorità e, lì dove possibile,
integrare tali misure con altre egualmente efficaci.
Consapevole
che quanto riportato è un’opinione personale, e che alcuni “colleghi
medici” e “tecnici” potrebbero avere un’opinione opposta,
negli ambienti di lavoro non sanitari, nell’applicare le misure idonee ed
efficaci al contenimento del Covid 19 e tutelanti la salute e sicurezza dei
lavoratori, consiglierei di “formalizzare” le procedure e tutte le azioni
intraprese o che saranno adottate
In ogni caso l'avvenuta modifica della organizzazione del lavoro: la necessaria distanza tra operatori, l'uso di nuovi tipi di DPI in caso di lavori a stretto contatto, la necessaria pulizia e sanificazione di attrezzature di lavoro comportano la rivisitazione del DVR con la necessaria partecipazione del medico competente ed RLS ai sensi del comma 3 dell'art.29 Dlgs 81/08
RispondiEliminaSe hai creato una nuova squadra interna che fa solo le pulizie, allora hai cambiato le mansioni e quindi aggiorni il DVR per questo (es. rischio chimico). Ma se non l'hai fatto e l'applicazione del protocollo non ha rimodulati gli altri rischi, non devi fare nient'altro in DVR, bensì va fatta una appendice esterna che va a rappresentare lo stato dell'arte di ciò che ha fatto l'azienda in questo momento emergenziale, quale attuazione di norme sovraordinarie dettate dal Governo e che escono "dalle mani decisionali" del DDL.
RispondiEliminaL'applicazione del protocollo condiviso insieme alla ordinanza regione campania 39 fa certamente rimodulare molti rischi precedentemente valutati tenendo conto del comma 1 lettera b) art.15
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