giovedì 30 aprile 2020

Coronavirus, Oltre le visite mediche come da art. 41, devono essere effettuate ulteriori visite?

Il DPCM  26/04/2020, al punto 12 si occupa della sorveglianza sanitaria e nell’elencazione delle attività del medico competente cita i seguenti due punti che hanno determinato varie interpretazioni:
·         è opportuno che sia coinvolto il medico competente per le identificazioni dei soggetti con particolari fragilità e per il reinserimento lavorativo di soggetti con pregressa positività al Covid 19
·         per il rientro progressivo di lavoratori dopo l’infezione da COVID 19, il medico competente deve effettuare la visita medica al rientro, dopo assenza per motivi di salute superiori a 60 giorni al fine di valutare l’idoneità alla mansione. (D.Lgs. 81/08, art. 41, comma 2, lettera e-ter), ANCHE per valutare profili di rischio specifici di rischiosità e comunque indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia.
Il secondo periodo, del punto precedente lascia intendere che indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia, per i lavoratori guariti dal Sars Cov 2, devono essere effettuate le visite mediche, non per la formulazione del giudizio di idoneità, ma per “valutare il profilo di rischio specifico”. Quindi anche al di sotto dei 60 giorni il medico competente, deve effettuare la visita medica.

In Campania le linee guida per i cantieri, al paragrafo dedicato alla sorveglianza sanitaria/ medica, specifica, già quanto indicato dal DPCM 26/04/2000, e ha inoltre previsto la visita medica da effettuare ad ogni dipendente prima della ripresa dell’attività, da ripetersi periodicamente, per accettare l’assenza di sintomatologia da Covid 19.

A questo punto è lecito pensare se il medico competente è obbligato ad effettuare le visite mediche

Per rispondere alla domanda dobbiamo tenere in considerazione che:

Ritenuto che L’art. 41 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che la sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente:
a) nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva
b) qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi
Considerato che Il DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio” non ha modificato l’articolo 41 del D.Lgs 81/08

Tranne nei casi dell’obbligo della visita medica per rientro al lavoro per motivi di salute oltre i 60 giorni, il medico competente non ha alcun obbligo di effettuare  la visita medica con formulazione di giudizi di idoneità, sia per il rientro al lavoro per la riapertura delle aziende, sia per i lavoratori covid positivi che  rientro al lavoro e sia per l’identificazione dei lavoratori “Fragili”.
In merito alle visite mediche dei lavoratori all’apertura delle aziende, dalle faq  della regione Campania si evince che deve essere attuata la seguente procedura,
il Lavoratore consegna al Datore di lavoro l’autocertificazione di cui all’allegato dell’Ordinanza Regionale, se  non emergono criticità così come dai punti specificarti nell’autocertificazione, il dipendente può riprendere l’attività lavorativa senza visita medica, di contro, se emergono una o più criticità , il datore di lavoro , comunica immediatamente al medico competente le criticità, il medico competente  ha l’obbligo di informare il lavoratore che deve contattare il medico di medicina generale per l’eventuale isolamento e l’avvio della procedura per l’effettuazione del tampone.
Quindi la domanda nasce spontanea, a cosa potrebbe essere utile la visita medica al rientro dei lavoratori covid positivi?
A parere dello scrivente, l’utilità potrebbe essere quella nell’individuazione dei lavoratori con esiti da covid che diventano “sensibili” ai rischi specifici della mansione.
Per tale condizione, il medico competente, può raccomandare  al lavoratore di richiedere la visita medica “straordinaria”, ai sensi dell’articolo 41, comma 2, lettera c, del D.lgs 81/08.

Per quanto sopra scritto, non è da intendere come un non interessamento del medico competente ai lavoratori fragili o dei lavoratori ex covid 19 positivi, ma che, la gestione dei lavoratori fragili o covid positivi  deve essere effettuato con modalità diverse dalla formulazione del giudizio di idoneità

Deve essere valutato il rischio biologico da Covid19 nelle aziende non sanitarie?


In seguito alla pandemia da Sars Cov 2, gli addetti ai lavori che tutelano la salute e la sicurezza dei lavoratori, hanno discusso e continuano a discutere   sull’ obbligatorietà negli ambienti di lavoro non sanitari, della  valutazione dei rischi e dell'aggiornamento della della stessa per il rischio biologico,  
Per poter rispondere al quesito, dobbiamo procedere per gradi, iniziando nel comprendere di cosa stiamo discutendo, cioè “che cosa è la valutazione dei rischi”.  Ai sensi dell’articolo 2, comma 1,
 lettera q del Dlgs.81/08 si definisce: Valutazione dei rischi: “la valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute   sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui
essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e protezione e ad elaborare  il programma delle misure atte a garantire il miglioramento  dei livelli di 
salute e sicurezza.”Dalla definizione si comprende che i rischi da valutare sono direttamente correlati alla tipologia dell’attività lavorativa, dal contesto ambientale, degli impianti, attrezzature e macchine utilizzate, manipolazione e/o esposizione agli agenti chimici, biologici, alla movimentazione manuale dei carichi, all’organizzazione del lavoro ecc. 
Da quanto precedentemente scritto, si comprende che negli ambienti di lavoro non sanitari, il Sars Cov_2 non è presente all’interno  della specifica attività lavorativa, ma è un rischio che proviene dall’esterno e si insinua nell’organizzazione del lavoro. A tal proposito si riporta che il protocollo condiviso di regolamentazione per  il contenimento della diffusione del Covid 19, specifica che esso  rappresenta un rischio biologico generico, e per il quale occorre adottare misure uguali per tutta la popolazione.
Di conseguenza, per quanto precedentemente scritto, non è applicabile neppure il titolo X del D.Lgs. 81/08, in quanto si configurerebbe per le  attività lavorative nelle quali vi è rischio di esposizione ad agenti biologici: o perché il datore di lavoro deliberatamente intende esercitare attività che comportano uso di agenti biologici (art. 269, comma 1), o perché, pur non volendo operare con agenti biologici, il Datore di lavoro  organizza le attività lavorative che, per la loro modalità di esercizio, possono implicare il rischio di esposizioni dei lavoratori a tali agenti (articolo 271, comma 4).

Quindi se il Covid19, negli ambienti di lavoro non sanitari, non fa parte del “ciclo produttivo” e la sua presenza negli ambienti di lavoro è indipendente dalla tipologia di organizzazione del lavoro, ne discende che non deve essere effettuata la valutazione dei rischi nè l’aggiornamento ai sensi dell’articolo 29, comma 2 del D.Lgs 81/08. 
Essendo il rischio da Sars Cov_2 un rischio generico, ne consegue che la tutela della salute pubblica spetta alle pubbliche autorità, che, individuate le opportune misure, le comunica alla popolazione, e di conseguenza anche  ai lavoratori e i datori di lavoro che di essa ne fanno parte.  
I datori di lavoro, sono obbligati a rispettare le indicazioni operative, anche ai sensi dall’art. 2087 c.c, perché la mancata attuazione di tali misure comporta sia la sospensione dell'attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza e sia sanzioni amministrative
 Il datore di lavoro, in quanto obbligato al rispetto delle “regole e indicazioni operative” stabilite dalle Autorità, perde l’autonomia decisionale e  valutativa  e non ha alternativa che dare attuazione a tali obblighi dettati dalle norme speciali che derogano  all’ordinario obbligo generale di valutazione dei rischi del decreto 81/08.
Da tale obbligo non sono esentanti anche i lavoratori che, opportunamente sensibilizzati, devono acquisire la consapevolezza del rischio e devono impegnarsi a rispettare le “disposizioni” del Datore di lavoro e delle Autorità.
Inoltre, pur tenendo in considerazione le misure “precauzionali” individuate dalla pubblica Autorità, possiamo sottolineare i punti in comune con il D.Lgs.81/08 quali l’informazione al corretto utilizzo dei DPI, la gestione della sorveglianza sanitaria, la riduzione del numero dei lavoratori esposti al rischio, l’allontanamento dei lavoratore per motivi sanitari.
Ne discende che nelle aziende non sanitarie, seppur il rischio da Covid 19   non debba essere valutato attraverso le modalità “usuali” tipiche dei rischi di origine occupazionale, il DL deve, comunque, garantire il rispetto delle misure individuate dalla Pubblica Autorità e, lì dove possibile, integrare tali misure con altre egualmente efficaci.
Consapevole che quanto riportato è un’opinione personale, e che alcuni “colleghi medici” e “tecnici” potrebbero avere un’opinione opposta, negli ambienti di lavoro non sanitari, nell’applicare le misure idonee ed efficaci al contenimento del Covid 19 e tutelanti la salute e sicurezza dei lavoratori, consiglierei di “formalizzare” le procedure e tutte le azioni intraprese o che saranno adottate

sabato 25 aprile 2020

Quali Mascherine Chirurgiche devono essere utilizzate come DPI nel periodo di emergenza?


Fino alla fine del periodo di emergenza, le mascherine chirurgiche sono eccezionalmente equiparate ai DPI. ( art. 16 del D.L. n. 18 del 17/03/2020).
Per la protezione del Sars Cov 2. negli ambienti lavorativi non sanitari e quelli sanitari escluso chi è addetto:


  • all'assistenza dei pazienti covid positivi
  • ad attività con generazione di aerosol
  • al trasferimento di pazienti covid positivi
  • alla manipolazione di campioni provenienti da pazienti covid positivi
  • attività post mortem per  covid positivi
  • attività di anatomia patologica su materiale proveniente da    pazienti covid positivi
dovranno essere utilizzate tale tipologia di mascherina ( Naturalmente se per i rischi professionali sono previsti qauli  DPI le FFP2 o FFP3, dovranno essere utilizzate quest'ultime).
Tenuto conto che per le differenti proprietà di efficienza di filtrazione batterica, traspirabilità , igienicità e idrorepellenza, le mascherine chirurgiche, sono classificate in I, II e IIR, la domanda nasce spontanea, "quale delle 3 classi di dispositivi   devono essere utilizzate?".
La risposta è possibile trovarla dal seguente ragionamento.


Le mascherine chirurgiche sono mezzi per proteggere "i pazienti" in quanto filtrano l'aria espirata.
Ora se esse sono state equiparate ai DPI ne consegue che devono assolvere  anche alla funzione di proteggere chi le indossa dai droplets provenienti dalle persone circostanti.


Ne discende che possono essere utilizzate solo le  mascherine chirurgiche classificate IIR, perchè solo per esse, secondo la norma EN 14683/2019 viene testata l'idrorepellenza per la protezione da schizzi e spruzzi.
Il dubbio che ho sulle mascherine chirurgiche per la protezione del Sars Cov 2 e che esse sono testate per lo stafiloccoco e che filtrano fino 3 micron più o meno 0,3 micron, mentre il CoV2 ha dimensioni poco più di 0,100 micron.


Pertanto sarebbe opportuno utilizzare (AMMESSO CHE CE NE SIANO IN CIRCOLAZIONE) le mascherine chirurgiche testate anche secondo la norma EN 18184/2019 per la verifica dei requisiti di INATTIVAZIONE dei virus.

Inoltre il D.L. del 18 marzo ha stabilito che in deroga alla normativa è possibile utilizzare mascherine chirurgiche anche  senza marchio CE, ma  i produttori, gli importatori e chi commercializza questa tipologia di mascherine e facciali filtranti,  devono ottenere "l'autorizzazione"  dal ISS per le  mascherine chirurgiche e " l'autorizzazione" dall'INAIL per i Facciali filtranti . Pertanto  in assenza del marchio CE , i lavoratori devono accertarsi tramite il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza se tali mascherine hanno le opportune "autorizzazioni". ( ISS e l'INAIL verificano la rispondenza delle mascherine chirurgiche e i facciali filtranti  alle norme vigenti.